Guardare il cielo e le profondità dello spazio non è un diversivo dalla miseria in cui ci troviamo. Fa parte della via d’uscita.

di Adriano V. Autino

La sera del lancio della Dragon Crew, ribattezzata in volo “Endeavour” da Doug Hurley e Bob Behnken, Luigi Bignami su Focus TV ha fatto un bellissimo servizio, intervistando diverse aziende protagoniste dell’industria spaziale italiana. Sì, a dispetto della coltre di silenzio mediatico che ricopre questo settore, le aziende non si sono estinte. Anzi, pur tra le mille difficoltà create dalle crisi ricorrenti, dal gelido silenzio dei media e dalla stolida indifferenza del politicume nostrano, hanno saputo perfino crescere, grazie all’eccellenza dei nostri ricercatori e tecnologi, e alla visione e capacità manageriale dei loro dirigenti. Capire come ciò sia potuto accadere è un’impresa paragonabile solo allo studio delle straordinarie forme di vita che abitano gli abissi oceanici e persino le grotte sotterranee più buie, che non hanno mai visto un raggio di luce. Fuor da ogni ironia, è stato davvero rincuorante vedere Avio, costruttrice del piccolo lanciatore Vega, Sitael, che lavora allo spazioporto per turismo spaziale di Grottaglie, e Thales Alenia Space, raccontare cosa stanno facendo. Ed anche un’altra vecchia amica (vecchia non di età! J), la Prof. Michélle Lavagna, del Politecnico di Milano, che contribuì in modo sostanziale all’organizzazione del primo Congresso Nazionale di Space Renaissance Italia nel 2014. Ebbene, il Poli di Milano sta sviluppando un impianto di estrazione dell’ossigeno dalla regolite lunare, per rifornire le basi e i villaggi che sono nei piani della NASA e dell’ESA per i prossimi anni.

Ma la politica, dov’è? Sta cercando di uscire da un “pozzo gravitazionale” ancora più profondo di quello terrestre, in cui il nostro Paese è precipitato, dal Febbraio 2020. Ed è iniziata la discussione sul come utilizzare al meglio la parte del recovery fund che toccherà al nostro Paese. E sono partite immediatamente le diverse perorazioni a favore di politiche ambientali, nel solco del Green New Deal, tracciato solo qualche mese fa da Ursula von der Mayen, subito prima dell’esplosione della pandemia Covid19: si parlava di un trilione in 10 anni.  E sembra un secolo, e un altro mondo. Oggi si parla di poco meno, 750 miliardi, in pochi mesi.

Non intendo contrappormi alle politiche ambientali, che sono ovviamente sacrosante — soprattutto quelle che riguardano la qualità dell’aria, dell’acqua e del cibo –, purché non siano intese in modo totalizzante ed esclusivo, rispetto ad altre opzioni, che sono altrettanto urgenti, se non di più.

Ovviamente la ricostruzione della sanità pubblica dovrà essere la prima priorità. Subito dopo metterei la scuola e la ricerca. Con particolare menzione del diritto all’istruzione che, in caso di pandemie, abbiamo visto appoggiarsi in modo sostanziale sulle infrastrutture di comunicazione, vale a dire la rete. Cablare il paese con la fibra ottica, raggiungendo anche l’ultimo paesino di campagna, e dotare anche i bambini più poveri degli strumenti necessari, pc, tablet, abbonamenti il cui costo sia stabilito in proporzione al reddito familiare. Mediante il sistema sanitario pubblico assicurare gratuitamente il trattamento precoce delle malattie, e soprattutto la prevenzione, a tutti i cittadini della repubblica, discostandoci dalla pratica abominevole e malsana di speculare sulla malattia. È inevitabile dilungarsi, se si vuole bene al proprio paese: la lista delle priorità sarebbe ovviamente molto lunga, ma non è questo lo scopo di questa mia nota. Riassumo il mio pensiero come esigenza di un nuovo spirito repubblicano, nel senso di cura ed amore per la res-publica.

Credo che la ripartenza del Paese dovrà basarsi su alcuni capisaldi, che comprendano non soltanto l’industria dei beni di consumo – sacrosanti, perché non vogliamo ridurci a stili di vita francescani, con tutto il rispetto per San Francesco – ma anche alcuni beni chiamiamoli così di consumo collettivo. In questo novero metterei la sicurezza della nostra specie e della civiltà, la qualità della vita, il diritto al futuro di tutti, quasi otto miliardi di cittadini del Pianeta Terra.

La cattiva notizia è che alcune delle minacce globali previste nel Manifesto di Space Renaissance fin dal 2009 (e fin dal secolo scorso da diversi filosofi nella space community) si stanno puntualmente verificando, comprese le pandemie e le pesanti nubi di guerra mondiale e di guerre civili che oscurano quegli stessi cieli in cui per fortuna non rinunciamo ad avventurarci.

La buona notizia è che ormai la pubblica opinione dovrebbe essere pronta a concepire le minacce globali come realtà, se non ancora lo spirito di reazione necessario, per superarle in avanti.

Siamo stati troppo a lungo soggetti alla propaganda di strategie passive, orientate alla decrescita. Occorre reagire, mettendo in atto strategie attive: nessuno risolverà i problemi al posto nostro. Se lasceremo fare alla natura ci ricaccerà indietro di parecchi gradini, nella scala evolutiva, e forse non potremo risollevarci mai più. Si tratta ora di concepire la produzione, e la vendita al grande pubblico, di “prodotti sociali”. Una strategia che permetta di finanziare i grandi progetti che sono indispensabili, se si vuole che la civiltà possa continuare il proprio sviluppo.

Si può utilizzare il vecchio sistema fiscale? La gente non ne può più di tasse, specie nel nostro Paese. Insistendo a perpetuare i sistemi fiscali opachi la gente sarà spinta sempre più verso deliranti offerte populiste e sovraniste. Tuttavia la messa in comune di risorse è necessaria e urgente, se si vogliono perseguire e realizzare grandi ed ambiziosi obiettivi.

Ciò che serve è totale trasparenza: 1) la gente deve  sapere cosa sta finanziando, o meglio 2) deve comprare un prodotto sociale, o meglio ancora 3) un fondo di investimento, che possa fruttare, in caso di successo dei progetti, un interesse. I prodotti devono essere chiari e definiti. Ad esempio, alcuni prodotti potrebbero essere “Risanamento idrogeologico del territorio”, “Risanamento e bonifica dei deserti”, “Sistemi foranei di difesa dall’innalzamento del livello dei mari”.

Altri possono essere “Sviluppo di tecnologie di protezione dalle radiazioni cosmiche nello spazio”, e ancora “Progetto di un habitat rotante, in stile O’Neill, con gravità artificiale pari ad 1 G, da posizionare in orbita geo-stazionaria”. Più immediato? Ok: “Progettazione e sviluppo di un sistema di lancio riutilizzabile”. Sarebbe il primo in Europa, e ci sono in Italia diverse aziende pronte a svilupparlo. Ma si può e si deve guardare oltre: l’Italia può essere leader nelle tecnologie abilitanti l’espansione civile nello spazio. La progettazione di veicoli a basso costo, bassa accelerazione, rientro sicuro in atmosfera, dedicati al trasporto di passeggeri civili a quota suborbitale e orbitale richiede attenzione agli utenti, alle persone: chi meglio degli Italiani?

“Guardare il cielo e le profondità dello spazio non è un diversivo dalla miseria in cui ci troviamo. Fa parte della via d’uscita. Ogni volta che l’umanità ha alzato lo sguardo dalla vita quotidiana, soprattutto dalla fogna, le stelle hanno ispirato la soluzione dei problemi che ha cambiato in meglio la vita sulla terra.” Scrive così Norman Levis, in un articolo odierno su spiked (https://www.spiked-online.com/2020/06/01/spacex-why-we-still-look-to-the-stars/).

Va anche considerato il consistente coté di attività indotte, che puntare allo spazio, allo sviluppo dell’astronautica civile si porta dietro: i servizi, la logistica, l’elettronica avanzata, i sistemi di supporto alla vita, e poi l’eso-botanica, la produzione di cibo nello spazio, gli ambienti verdi chiusi, le tecnologie per ricavare energia dal sole (nello spazio il fotovoltaico funziona 24/24, 365 giorni l’anno, con un rendimento enormemente superiore al fotovoltaico terrestre. Nello spazio, in assenza di gravità ed attrito, il trasporto di materiali ad esempio tra l’orbita terrestre e quella lunare non costa praticamente nulla, se si ha tempo. Ovviamente, se si vuole coprire la distanza velocemente, il costo non è nullo. Ma, come ebbe a scrivere Robert Heinlein, quando si è in orbita, fuori dal pozzo gravitazionale, si è a metà strada per ovunque.

Per concludere questa breve nota, tra tutte le raccomandazioni della serie “approfittiamo della crisi per il cambiamento”, vorrei aggiungerne una di importanza primaria, cui deve essere data priorità. Approfittiamo della crisi, facciamo in modo che almeno tanti cari nonni non siano morti invano: ridisegniamo la strategia spaziale del nostro paese, dando supporto alla space economy, in particolare quella orientata allo sviluppo civile dello spazio.

[aa.01.06.2020]

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Posted by ADRIANO AUTINO