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Progresso, progressismo e rinascimento

Progresso, progressismo e rinascimento

Progresso, progressismo e rinascimento

di Adriano V. Autino

L’obsolescenza delle componenti progressiste in Italia

Negli ultimi mesi qualcuno si deve essere accorto che, nel campo della sinistra, si era completamente estinta qualsiasi componente progressista. Tutte le forze e le debolezze della sinistra si erano gradatamente uniformate all’ideologia verde decrescitista, diventando così un altro fattore di supporto al declino industriale nel nostro paese, e quindi all’eutanasia della civiltà industriale. Ora, non può certo sfuggire, a chi conserva un minimo di capacità di analisi sociale, che tutto ciò che abbiamo avuto, in termini di vero progresso, nel mondo occidentale, lo si deve alla civiltà industriale. Basta guardare i paesi in cui non c’è (ancora) stata una rivoluzione industriale (e chissà se a questo punto ci sarà mai). Niente sistemi di istruzione di massa, niente sistemi sanitari di massa, e totale mancanza di quella diginità umana che solo il lavoro ha potuto portare, pur con tutte le contraddizioni che ben conosciamo. La civiltà industriale, nei paesi in cui si è sviluppata, ha portato non solo progresso materiale, ma soprattutto morale ed etico, la nascita di movimenti pacifisti, la graduale obsolescenza delle concezioni della guerra come valore e gloria, una maggior consapevolezza dei diritti umani universali. Ovviamente ha significato anche sfruttamento, alienazione, inquinamento. Mali che il movimento operaio ha cercato di eliminare o contenere, con le sue lotte per i diritti sociali. E di tutto questo chiunque si ritenga oggi sinceramente umanista può a buon diritto continuare a rivendicare la giustezza ed il merito, davanti alla storia. Le grandi lotte operaie hanno però anche lasciato una pesante eredità negativa: l’odio di classe, che continua a far danni anche nell’era cosiddetta post-industriale, anche quando non esistono più modelli sociali alternativi alla democrazia liberale, nel contesto del (più o meno) libero mercato. Le classi sociali, così come erano state definite in era industriale, si sono progressivamente sfilacciate, compenetrate, osmotizzate, rendendo via via la realtà sociale un amalgama in cui è sempre più difficile distinguere il proletario dal precario e dal piccolo imprenditore semplicemente monitorando il loro conto in banca, in ogni caso tendente al rosso. E quando il colore rosso si trasferisce tragicamente dalle bandiere ai nostri conti bancari, è inevitabile che avanzino le tante gradazioni di nero, dell’evasione, del fascismo, della regressione sociale, della chiusura, della mafia, della violenza e dell’autoritarismo, del noir non più solo genere letterario, bensì vero e proprio modello sociale.

La Terra è il solo pianeta che abbiamo, per ora

Ma non è neanche facendo appello alla resistenza contro il neofascismo rampante che la società civile potrà generare sufficienti anticorpi e riconquistare un limpido assetto progressista. Andiamo con ordine. Avendo svolto una veloce indagine di mercato (la disciplina che da qualche anno ha evidentemente rimpiazzato l’analisi sociale), qualcuno nel campo della sinistra ha furbescamente rispolverato il termine “progressista”. E così, ad esempio, Pisapia ha battezzato il suo movimento “Campo progressista”. Qualcun altro ha prontamente seguito l’esempio, ed ha fondato “Articolo 1, Movimento democratico e progressista”. Che dire di quest’ultimo? Già nel nome testimonia la sua condizione di relitto della storia, intitolandosi all’articolo 1 della costituzione, quello che stabilisce l’Italia essere “una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, e non ad esempio sulla libertà di impresa e di ricerca scientifica, filosofica, etica, definizione che starebbe meglio al passo con il tempo contraddittorio, ma anche fortemente rinascimentale, che stiamo vivendo. Movimenti che basano la loro definizione progressista sull’immarcescibile ricetta dell’aumento della tassazione ed, in definitiva, sul controllo statale dei patrimoni, in nome della “redistribuzione della ricchezza”. Un concetto che, così come la “salvaguardia del pianeta”, viene proposto senza neanche più disturbarsi a motivarne la validità etica, convinti come sono i proponenti, nella loro supponente presunzione, che tutti ormai ne diano per scontate l’assennata correttezza sociale ed ontologica. La convinzione profonda, ben radicata nella coscienza piccina e priva di immaginazione di costoro, è sempre la stessa: il pianeta è una quantità finita di materie prime, la ricchezza che ci si può costruire sopra non può quindi che essere anch’essa finita ed inaccrescibile. Bisogna dunque (ri)distribuire equamente questa “ricchezza” tra tutti. Va da sé che i proponenti di questa dottrina si ritengono i migliori e più onesti gestori delle risorse ormai scarse del “pianeta”, termine di cui pure abusano. Il termine “pianeta” infatti, per gli antichi greci, significava “luce nel cielo”. Basterebbe rifarsi a questa vecchia definizione, allora, per capire che il nostro pianeta è una luce nel cielo tra tante, nel sistema solare. Se si continua ostinatamente a vedere questo nostro pianeta come l’unico che abbiamo (e che avremo), è inevitabile che tutta l’attività umana ne risulti un gioco a somma zero. Il concetto di redistribuzione della ricchezza si riferisce all’economia come gioco a somma zero. Ridurre le disuguaglianze, un obiettivo rispolverato da questi movimenti sedicenti nuovi, si riferisce ugualmente al paradigma della somma zero.

Ridistribuzione o crescita della ricchezza? Uscire dal paradigma del gioco a somma zero

Un movimento realmente progressista, futurista e presentista, dovrebbe invece urgentemente ragionare su un concetto di crescita della ricchezza ed, a tale uopo, in un’agenda finalmente socio-urgica, e non solo socio-logica, agire per movimentare i capitali, che oggi ristagnano senza alimentare alcuna crescita. Movimentare i capitali non significa necessariamente che lo stato debba risucchiarne porzioni crescenti per poi occuparsi di ridistribuirli o reinvestirli. Sappiamo ormai che poi gran parte del gettito fiscale sparisce in capaci tasche che poco o nulla hanno a che vedere con serie politiche di investimento pubblico. Movimentazione dei capitali in direzione utile al progresso sociale dovrà significare piuttosto tassare i capitali immobilizzati, invece che i capitali tout-court. Ma, ancor più, significa sviluppare politiche di incentivi e sgravi fiscali, intelligentemente orientate a favorire iniziative industriali e di ricerca funzionali al vero progresso. Mi riferisco, come scritto più volte in altri articoli, al settore new space: veicoli di trasporto terra-orbita interamente riutilizzabili, sviluppo del trasporto di passeggeri civili nello spazio, di stabilimenti industriali manifatturieri orbitali e nello spazio geo-lunare, utilizzo di tecnologie additive per produzione ed assemblaggio di satelliti direttamente in orbita. Perfino l’industria 4.0, nella quale si ripongono oggi tante speranze, non servirà a nulla, se non innescherà l’espansione civile nello spazio.

Per uscire dal paradigma della somma zero basta un semplice ragionamento, un classico “uovo di Colombo”, come quello che ha portato Elon Musk, recentemente, a sviluppare lanciatori a due stadi completamente riutilizzabili, visto che ancora non siamo in grado di sviluppare un veicolo single stage to orbit. Il ragionamento è questo: se le risorse materiali del nostro pianeta natale costringono ormai la civiltà degli otto miliardi di abitanti ad un’economia permanentemente a somma zero, le risorse del sistema solare, a cominciare da quelle della luna e degli asteroidi vicini alla terra, permettono di uscire da questa gabbia, e di tornare ad orientarci al vero progresso, vale a dire il processo socio-economico a somma crescente. In un contesto economico crescente, poiché basato su risorse materiali ed energetiche virtualmente infinite, l’ascensore sociale tornerà a mettersi in movimento, verso l’alto.

Eliminare la povertà, e non la ricchezza

È questo l’importante. Se, infatti, proviamo a lasciar andare l’odio di classe ed i meschini desideri di rivincita e vendetta, che cosa potrà mai importare veramente, a noi che abbiamo a cuore i diritti di tutti gli esseri umani, che i ricchi “paghino caro” per la loro ricchezza? Per quanto mi riguarda Bill Gates può anche diventare ancora più ricco, purchè ai miserabili sia data la possibilità di accedere ad un livello di vita dignitoso, chi già lavora abbia maggiori opportunità di impiego, i piccoli e medi imprenditori abbiano un formidabile aumento del mercato e dei contratti, nascano nuove imprese ogni giorno, alimentando così la crescita sociale complessiva. A me, umanista, fa molto male sapere che tanti milioni di bambini nel mondo non hanno da mangiare e non possono andare a scuola, che milioni di persone non hanno di che lavarsi e vivere dignitosamente. E che, in virtù di questo loro stato, costituiscono una massa di disperati disponibili per guerre ed orrori inaccettabili. Io non mi sento libero né completo, come essere umano, finchè perdura e peggiora questo stato di cose. Se continueremo a cercare di superare questo stato di cose mediante i concetti della redistribuzione, del risparmio e della tassazione vessatoria — tanto cari alle sinistre vecchie e decrepite anche quando si rifanno la facciata —  non faremo che incrementare i conflitti, gli odi, le chiusure. Il risultato sarà la redistribuzione dell’odio e della povertà, e non certo della ricchezza. Il nostro obiettivo è infatti eliminare la povertà, e non la ricchezza.

Non solo il termine “progressista” sta vivendo una stagione di rispolvero. Anche il termine “rinascimento” conosce un percorso simile. Sono molti ormai a riempirsi la bocca di questo termine, senza avere neanche provato ad approfondire il concetto, che cosa ha significato nella storia, e che cosa significa oggi. Il pericolo è che queste parole — progresso e rinascimento — vengano svuotate del loro significato reale, e quindi diventino del tutto inefficaci, grazie all’uso improprio fattone dai mestieranti della politica, pronti a sporcare qualsiasi concetto, pur di avere una manciata di voti in più, ed un quarto d’ora di notorietà.

La lotta tra rinascimento e regressione, il ruolo dello stato nello stimolare un nuovo mecenatismo

Varrà la pena ricordare che il Rinascimento è un processo sociale che ha avuto inizio nel 1500, in Italia, grazie alla famiglia Medici, che ebbe il grande merito di inaugurare una pratica estremamente utile e funzionale al progresso: utilizzare parte della propria fortuna, accumulata grazie al proprio genio imprenditoriale, per favorire lo sviluppo delle arti e della ricerca, che all’epoca praticamente coincidevano, nelle botteghe artigiane. Il Rinascimento è stato l’ostetrica che ha favorito la nascita della ricerca scientifica moderna, nel ‘600, seguita dalle rivoluzioni industriali dell’800 e del ‘900, ed oggi punta decisamente allo spazio, unico sbocco che può assicurarne la continuazione.

Nei primi anni 2000, un “Medici” moderno, Paul Allen (socio di Bill Gates), ha donato 30 milioni di dollari alla piccola aziende Scaled Composites. Grazie a quella donazione la Scaled Composites progettò e costruì SpaceShipOne, un veicolo suborbitale, simile al vecchio X15 della NASA, però concepito per trasportare turisti, passeggeri civili. Il 21 giugno 2004 lo SpaceShipOne ha compiuto il primo volo spaziale sviluppato con soli fondi privati, vincendo così il premio Ansari X-Prize da dieci milioni di dollari, per aver raggiunto l’altitudine di 100 km (cioè lo spazio) due volte in un periodo di due settimane con a bordo l’equivalente di tre persone e con non più del 10% di peso (che non fosse carburante) della navicella sostituito tra i due voli. C’è questo “piccolo” evento, nel background di Space X, e del grande evento degli ultimi due anni: l’abbattimento del costo del trasporto terra orbita da 20.000 US$/kg (mantenuto monopolisticamente costante per gli ultimi 40 anni!) a 2.000 US$/kg, che consente oggi a molte più aziende private di entrare nel settore spaziale.

La realtà odierna? Nel mondo c’è una lotta tra rinascimento e regressione, di cui nessun media canta le gesta. Governi intelligenti, che facciano propri moderni concetti di progressismo e mecenatismo, possono fare molto per aiutare il rinascimento a prevalere.

Una forza di governo intelligente, oggi, potrebbe anche — oltre a mettere in atto le politiche sopra accennate — porsi l’obiettivo di incrementare il moderno mecenatismo, ad esempio istituendo sgravi fiscali per chi fa donazioni importanti per l’arte, per la ricerca, per l’istruzione, per la protezione ed il risanamento idrogeologico del territorio. È opportuno evidenziare la modalità innovativa di tale processo. Va lasciato andare anche il vecchio sistema di centralizzare le donazioni a livello fiscale: gli 8 ed i 5 x mille non sono bastati, almeno finora, a risollevare l’investimento in ricerca ed istruzione, che continuano a vedere di anno in anno i loro già miseri bilanci costantemente tagliati. Oltre ad arrestare ed invertire finalmente la tendenza suicida al taglio progressivo delle risorse pubbliche per la ricerca e l’istruzione, occorre costruire un sistema che incoraggi le donazioni dirette, ovviamente monitorandone l’effettiva esecuzione e successiva efficacia, non solo alle associazioni ed alle imprese, ma anche a singoli ricercatori, artisti, innovatori, premiando le idee migliori per favorirne la realizzazione. Altrochè reddito di cittadinanza!

Colonizzare lo spazio, e lasciare in pace il mare!

Un’ultima chiosa, per chiudere questa riflessione. Per quanto il nesso possa non apparire ovvio, questo scritto mi è stato stimolato da un bel film, visto ierisera, sulla vita del comandante Jacques Costeau, che confesso di aver voluto vedere perché nel cast c’è Audrey Tautou, una delle mie attrici preferite, indimenticabile interprete del “Favoloso mondo di Amelie” (:-)… Comunque, Costeau si è spinto nei più remoti angoli del nostro pianeta, con l’intento di promuovere la colonizzazione del mare, le abitazioni sottomarine, ed addirittura la mutazione trans-umanista, cioè sviluppare branchie artificiali per poter vivere nel mare come ibridi umano-ittici. La sua opera ha comunque diffuso la conoscenza dell’ambiente naturale marino, di cui il vecchio Costeau diverrà poi uno strenuo difensore.  Il suo sogno fu sostenuto principalmente da una società petrolifera, che donava carburante per la sua nave Calipso, in cambio di campioni raccolti sul fondo marino, per indivuare giacimenti di petrolio. Il sogno di colonizzare i fondali ebbe però termine quando si cominciarono a sviluppare i robot sottomarini, che consentivano l’esplorazione e la prospezione mineraria dei fondali con molta maggiore efficienza e minor pericolo per gli esseri umani. Personalmente ritengo che la mancata colonizzazione del mare non sia affatto un male: non avrebbe alcun senso riempire ulteriormente lo spazio del nostro pianeta di infrastrutturre abitative ed industriali. Il pianeta stesso sta già dimostrando, mediante scompensi climatici tremendi, che non tollererà oltre la nostra invadenza… si sa che dopo tre giorni (o in questo caso dopo tre ere geologiche?) l’ospite è come il pesce… puzza.

Una rappresentazione artistica del pianeta Trantor, capitale dell’Impero Galattico (Trilogia della Fondazione, di Isaac Asimov)

Da un punto di vista puramente ecologico (e non ecologista), il mare — ambiente fondamentale per il ciclo autoregolantesi delle acque planetarie — dovrebbe restare per quanto possibile un ambiente autoregolato, e quindi il meno possibile antropizzato. E quindi in questo caso lo stop alla colonizzazione, imposto dallo sviluppo di tecnologie robotiche, è stato quanto mai opportuno. Altro discorso riguarda ovviamente le risorse, soprattutto alimentari, che preleviamo dal mare, negli ultimi anni messe in crisi a causa di pesca eccessiva e dell’inquinamento, soprattutto da materie plastiche. Anche a questo proposito, l’unica alternativa è rappresentata dalla continuazione del nostro sviluppo altrove, il che permetterà al nostro pianeta d’origine di rigenerare la ricchezza e la qualità delle risorse naturali, quelle ittiche in primo luogo.
Nel caso dello spazio, quindi, se un arresto del processo espansionistico dovesse riproporsi, a causa di una pretesa “maggior convenienza” di tecnologie robotiche nell’approvvigionamento di materie prime extraterrestri, sarebbe un evento nefasto, che arresterebbe non solo il progresso, bensì l’evoluzione stessa della civiltà. Una simile scelta porterebbe, alla fine, all’inevitabile invasione antropica anche del mare, decretando la progressiva cementificazione del nostro pianeta, modello Trantor (si veda il ciclo della Fondazione di Isaac Asimov). E credo proprio che questo scenario non sia accettabile né per gli umanisti né per gli ecologisti… Fatta salva la grande utilità delle tecnologie robotiche come supporto alla colonizzazione dello spazio, è chiaro che le risorse extraterrestri dovranno essere utilizzate principalmente in funzione dell’eso-sviluppo, per costruire infrastrutture spaziali, e supportare la vita e le attività umane in tali ambienti.  Dunque, vogliamo discutere, quanto prima possibile, di che cosa intendiamo veramente per progresso?

Posted by ADRIANO AUTINO in Blog, News, Stampa
Ci servirà una patente per guidare le intelligenze artificiali, sulla Terra e nello spazio esterno

Ci servirà una patente per guidare le intelligenze artificiali, sulla Terra e nello spazio esterno

di Adriano V. Autino

Quello dell’intelligenza artificiale è un argomento di portata talmente ampia che non ci si può limitare a considerazioni legate ai ritorni di investimento, effetti sull’occupazione, o altri aspetti meramente economici. Il tema investe la dimensione filosofica a più lungo termine, prova ne sia che due grandi protagonisti della scena industriale contemporanea, come Mark Zuckerberg ed Elon Musk, proprio su questo terreno si sono recentemente confrontati.

Iniziando con le considerazioni più generali, l’Intelligenza Artificiale (IA) fa parte degli sviluppi tecnico-scientifici cosiddetti GRAIN (Genetics, Robotics, Artificial Intelligence, and Nanotechnology), tutti molto promettenti, ma che, come ho già scritto più volte in passato, ed anche nel mio ultimo libro “Un mondo più grande è possibile!”, di cui riporto qui un passo, hanno tutti un grave handicap. “L’economia terrestre è ormai fallita, le Industrie terrestri non possono più crescere né svilupparsi oltre. L’ulteriore sviluppo della scienza terrestre nel mondo chiuso potrà fare miracoli, come sempre, ma il loro effetto sarà di breve durata, conferendo alla civiltà forse pochi anni di apparente ripresa dalla crisi. La caduta successiva sarà peggio, se il mondo dovesse restare chiuso. In mancanza di spazio lo stesso sviluppo tecnologico potrà imboccare strade involutive, tendenti a deprimere l’iniziativa, la creatività e lo spirito di avventura che da sempre caratterizza la nostra specie. Infatti, in un contesto di fabbisogni energetici mortificati dalla scarsità di risorse, il sistema non potrà che tendere alla staticità, all’immobilismo fisico e quindi culturale, all’equilibrio, forse, ma l’equilibrio della vecchiaia e della morte. Da tempo le forze che fiancheggiano la prematura estinzione della nostra civiltà tentano di “educarci” ad una maggiore stanzialità, a limitare i viaggi. Lo stesso termine “navigazione in rete” appare particolarmente odioso, in questa prospettiva, addirittura patetico, in quanto suggerisce di abbandonare le velleità dell’esplorazione, in favore di una comoda poltrona davanti allo schermo televisivo, dove possiamo fruire di suoni ed immagini di terre lontane, o addirittura di altri pianeti… Suoni ed immagini ripresi da professionisti dell’esplorazione, meglio se mediante ausilii completamente robotici. Tutta la “cultura” (se così la vogliamo chiamare) del Ventunesimo Secolo ci suggerisce che ogni cosa è meglio lasciarla fare ai professionisti, e diventare sempre più dei consumatori, tenuti in poltrona, all’ingrasso, fisico e mentale. Salvo che poi il giochetto non funziona, perché l’economia ne risulta terribilmente depressa, i mercati diminuiscono, e tutto rischia di finire molto più velocemente di quanto gli strateghi del cosiddetto “soft landing”  avessero previsto, tramutandosi presto in “hard landing”. Si dimostra così una volta di più che la pretesa di aver compreso a fondo i meccanismi dell’economia, ed ancor più, l’illusione di poter agire su tali processi come se si avesse a che fare con un sistema totalmente deterministico e controllabile, sia una delle tante false metafisiche, con le quali la nostra civiltà si fa del male, e questa volta rischia di causare un crash irrecuperabile.” Da queste poche righe si comprende già quale sia il mio pensiero, a proposito dello sviluppo delle IA, alle quali non sono affatto contrario, in linea di principio, purchè siano al servizio degli umani, e non in senso lato. Vale a dire che i civili possano usufruirne così come oggi utilizzano i personal computer, i tablet ed i telefoni portatili. Usufruirne come degli strumenti, avendone cioè il completo controllo, ed avendo la piena libertà di attivarne o disattivarne ogni singola funzione. Quindi, tanto per capirci, auspico un controllo molto maggiore di quello che abbiamo oggi su telefoni e computer, dove è sempre meno l’utente a decidere quali applicazioni installare, quale grado di autonomia devono avere, e quanto il sistema deve essere aperto ad interventi esterni.

Questo significa, anche, un approccio alla tecnologia ben diverso da quello oggi spacciato da google, whatsapp e facebook, rudimentali IA che già esistono. Niente di strano, a tal proposito, che Zuckerberg si pronunci a favore di non preoccuparsi troppo, dello sviluppo delle IA! Si tratta di mezzi di comunicazione che prendono molte decisioni al posto dell’utente, se così lo vogliamo ancora  chiamare, e spesso ne scopriamo i risultati in seguito a cose spiacevoli, di cui avremmo volentieri fatto a meno.  Le modalità di privacy, ad esempio, hanno impostazioni di default molto aperte, ed è solo spendendo ore in ricerche che riusciamo a capire (i) quali regole esistono (ii) su quali possiamo influire (iii) come ci conviene settare il sistema. Tutto questo ha avuto origine quando l’informatica di consumo (Microsoft) ha sconfitto e rottamato l’informatica industriale (Digital Equipment), in virtù dei numeri economici enormemente superiori. Così i personal computer, i telefoni smart ed i social media, sono dati in mano ad “utenti” incompetenti dal punto di vista informatico, che non si vogliono “annoiare” troppo chiedendo loro di impostare i parametri del sistema. Gli si vuole dare un mezzo che possano usare subito e divertirsi, per default connesso ed aperto. Perché questo è lo scopo: che la gente si diverta e, divertendosi, compri. Hey, ma guarda, si fanno del male! Cosa vuoi che sia, intanto comprano, e questo è l’essenziale. Quei quattro fissati che amano mettere sempre i puntini sulle i hanno comunque i mezzi, se hanno conoscenze sufficienti per trovarli, per proteggere la propria privacy ed il proprio libero arbitrio (fino ad un certo punto). Viene da pensare se questo problema del libero arbitrio non si sia già posto, in un passato magari molto remoto, con una qualche super-IA deificata. Se le scritture hanno posto un’enfasi così accentuata sul libero arbitrio… che la nostra stessa idea di Dio (onnipotente,  onnisciente, che tutto vede) non sia derivata da un simile passato…

Ma, bando alle divagazioni fantasiose futuriste e passatiste, per adesso non siamo al punto di aver creato o ri-creato un Dio (immagino cosa ne trarrebbe Alessandro Bergonzoni dal concetto della ri-creazione di Dio! ah ah!), o un Comitato Centrale artificiale (fate un po’ voi), anche se indubbiamente molti sognano qualcosa del genere… Ad oggi qualsiasi intelligenza artificiale, a meno che vi siano sviluppi di cui non sono a conoscenza, consta di un motore inferenziale (l’algoritmo), e di un database di regole, definito da un esperto. Ad esempio, se voglio una IA che controlli i pozzi di petrolio ascoltando il rumore che fa la trivella, dovrò chiedere ad un vecchio esperto di pozzi di trasferire il suo know how dentro un database di regole. Essenziali sono dunque i database delle regole, quindi è molto importante da chi sono scritte tali regole, e per quali scopi. Da umanista, credo si dovrebbe partire dalle tre leggi della robotica, definite da Isaac Asimov nei primi anni quaranta del secolo scorso: (1) Un robot non può recar danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. (2) Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge. (3) Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge. Vorrei subito aggiungerne alcune altre: (4) qualsiasi IA dovrà essere utilizzabile come strumento personale da un singolo utente, o da gruppi di utenti che ne decidano la condivisione totale o parziale (5) qualsiasi IA dovrà risiedere fisicamente su un supporto hardware in piena disponibilità fisica dell’utente, e non su un’infrastruttura centralizzata (6) qualsiasi IA deve potersi connettere in rete solamente a discrezione dell’utente, e per gli scopi definiti dall’utente (7) qualsiasi IA potrà installare applicazioni sull’infrastruttura informatica dell’utente solo su esplicito consenso di quest’ultimo (8) qualsiasi IA sarà completamente inattiva finchè non sia stata parametrizzata dall’utente secondo le funzioni e le modalità desiderate da quest’ultimo (9) qualsiasi IA sarà completamente inattiva finchè l’utente non l’abbia attivata, e sarè disattivabile (standby) in qualsiasi momento (10) il grado di autonomia di qualsiasi IA per quanto riguarda le ricerche e qualsiasi tipo di iniziativa in rete sarà definibile dall’utente, da 0% a 100% (11) in nessun caso qualsiasi IA potrà iscrivere automaticamente l’utente a servizi di alcun genere, anche se gratuiti, senza aver prima avvisato l’utente e richiestone il permesso. Sono certo che queste poche regole elementari sono solo l’inizio, e che ne seguiranno altre, in base a riflessioni più approfondite ed ampie casistiche (use case).

È chiaro che si fa presto a sconfinare nel territorio dell’etica. E questa è indubbiamente la questione più importante, quando si parla di IA. Tecnicamente un database di regole può essere scritto sia da Batman che dal Joker… i database di regole delle IA dovranno quindi essere certificati da apposite authority, e gli utenti dovrebbero acquisire una sorta di patente di guida, prima di iniziare ad usare una IA. Pensiamo che usare una IA sia meno complesso e meno pericoloso, rispetto alla guida di un’automobile, o di qualsiasi altro mezzo di trasporto, di terra, mare o cielo? Ad IA di diversi livelli di pericolosità dovrebbero corrispondere diversi livelli di patente, così come avviene per i mezzi di trasporto. Non si può pensare che la preparazione per l’utilizzo di un’IA di navigazione e ricerca in rete sia la stessa che servirà per utilizzare un robot per operazioni minerarie asteroidee. E che dire di una IA in grado di fornire pareri legali, a supporto della magistratura, oppure di una IA capace di operare chirurgicamente? Non si pensi, del resto, che l’utilizzo di un robot per lavori domestici presenti minori complessità o necessità di attenzione. Dai pochi esempi che ho fatto s’intuisce anche come si stia parlando di applicazioni molto diverse tra di loro. Abbiamo già assistito, nella storia del software, a diverse fasi: inzialmente esisteva il mestiere del programmatore, che scriveva software. Poi l’elettronica avanzata (automazione) è entrata ovunque, negli elettrodomestici, nei telefoni, nelle auto, nella produzione industriale, … Oggi il mestiere del programmatore non esiste più, essendo il software stato inglobato nelle diverse branche dell’ingegneria. Chi progetta il software da inserire in elettrodomestici o in un telefonino, o il software di automazione di una centrale elettrica, non si definisce più programmatore, bensì un progettista nel comparto industriale in cui presta la sua opera. Un processo simile si può prevedere anche per le intelligenze artificiali. Dopo un periodo, (speriamo breve, perché già non se ne può più J) di discussioni feroci tra entusiasti e detrattori, sociologhi e tuttologhi, le IA saranno quietamente assorbite nei diversi sistemi, che diventeranno così dei sistemi “intelligenti”. Questa grande varietà di utilizzo delle IA, tra l’altro, darà origine a tutta una serie di nuovi mestieri, a cominciare dai docenti di “scuola guida delle IA”, che dovranno avere una preparazione ben diversa e superiore, rispetto ai tradizionali istruttori di scuola guida, senza nulla togliere, ovviamente, alla professionalità richiesta a quest’ultima categoria.

È chiaro che non è possibile discutere tutta la vastissima materia dell’Intelligenza Artificiale in un solo articolo, che già sta sfiorando pericolosamente la dimensione del saggio, e che potrebbe tranquillamente strabordare nel formato di un piccolo (?) libro… Tuttavia non si può evitare di almeno sfiorare l’argomento dell’occupazione e dei posti di lavoro. Coloro che paventano addirittura la progressiva obsolescenza del genere umano come conseguenza dello sviluppo delle intelligenze artificiali, si possono definire luddisti? Coloro che considerano invece le IA come uno stadio evolutivo dell’intelligenza, che soppianterà a buon diritto l’homo sapiens, sono antiumanisti? È chiaro che nessuna di queste definizioni regge, nel contesto attuale. Di sicuro l’intelligenza artificiale è uno dei vettori del rinascimento che sta lottando per emergere dal maelstrom della crisi globale. Dove ci porterà tutto questo? Per poter muovere un passo alla volta, ma nella direzione giusta, non sarebbe male avere un’idea di dove vogliamo, o possiamo, andare. La mia personale senzasione è che, siccome l’elettronica prosegue nel suo processo di miniaturizzazione, approderà prima o poi su un hardware parzialmente  o completamente biologico. La biologia umana, d’altro canto, è già abbastanza inoltrata sulla strada della bionica. Non è difficile prevedere un’epoca in cui le nostre protesi informatiche (strumenti di comunicazione, di calcolo e di archiviazione dati) potranno integrarsi biologicamente con i nostri sottosistemi biologici naturali. Arriveremo così ad una sorta di evoluzione autodiretta, fusione trascendente tra natura e cultura tecnologica. Non credo né ancor meno spero in un futuro dove tutti se ne stanno sdraiati in ozio e le macchine fanno tutto il lavoro. Finiremmo come polli, immobilizzati, imboccati e puliti in cubicoli dotati di tutti i comfort… Situazione che forse potrà sembrare interessante a qualcuna delle tipologie caratteriali umane, ma credo che ai più non possa che fare orrore.

Già, ma a cosa serve, ed a cosa dovrà servire il lavoro? Nella nostra storia come specie culturale, per dare una motivazione completa al lavoro si deve utilizzare la gerarchia dei valori definita da Abraham Maslov, colui che considero il miglior analista delle categorie dei bisogni umani, di gran lunga superiore a Karl Marx, soprattutto perché Maslov discute i bisogni umani, mentre Marx, ed ancor più i suoi epigoni, avevano finito per occuparsi soltanto dei bisogni delle classi subalterne. Dunque il lavoro, nella storia, è servito a mantenere in vita noi umani, assicurandoci protezione dagli eventi naturali, vitto, alloggio, vestiti, mezzi di trasporto, e tutto ciò che serve per soddisfare i nostri bisogni, dai più elementari (anche analizzati da Marx e da diversi marxisti) ai più elevati, categorizzati, appunto, da Maslov. Ci avviamo ad un’epoca in cui potremo dedicarci al 100% a soddisfare i nostri bisogni più elevati, essendo tutti i bisogni più elementari soddisfatti dalle macchine? Oppure le macchine finiranno per scipparci anche quei lavori di alto profilo che ci permettono di soddisfare i nostri bisogni più elevati? È chiaro, in questo secondo scenario, che si tratterebbe di macchine dotate di creatività ed emozione, e del piacere sublime che ne deriva… degli umani artificiali… o degli umani biologici, ma potenziati con hardware bioinformatico aggiuntivo. Alla fine la distinzione potrebbe essere molto sottile: in ogni caso si tratterebbe di esseri evolutivamente superiori all’homo sapiens, quello che hanno in mente i transumanisti , più o meno. Ragionando per ora sul primo scenario, quello che lascia all’homo sapiens le funzioni intellettualmente ed emotivamente superiori, forse sarebbe possibile, a patto che i modelli sociali possano adattarsi a questa nuova situazione. Un modello secondo me molto semplicistico, è quello del reddito universale (Elon Musk), reddito di cittadinanza (M5S), o reddito di inclusione (PD), tutte varianti di un sistema di retribuzione basato sul paradigma esisto-quindi-vengo-pagato. Tale sistema ha un grave difetto: istituirebbe una differenza sociale fondamentale tra chi ha un lavoro (necessariamente di alto profilo intellettuale) e chi vive di quello che, comunque lo si voglia chiamare, sarebbe un sussidio di disoccupazione. Gli occupati avrebbero uno stipendio che permette loro di soddisfare i bisogni più elevati, alla soddisfazione dei quali già contribuirebbe sostanzialmente lo stesso lavoro svolto. Tutti gli altri — una maggioranza drammaticamente grande — avrebbero un reddito che permette soltanto la soddisfazione dei bisogni più elementari (forse). Società utopica? Ne dubito fortemente.

Credo invece si debba pensare ad un modello sociale in cui il grande patrimonio umano venga utilizzato interamente, ed al meglio. Un modello del tipo penso-quindi-vengo-retribuito, in cui la grande maggioranza viene pagata per pensare, per risolvere problemi, per impegnarsi nell’arte, nella progettazione, nello sviluppo della cultura e di mezzi sempre più avanzati per condividerla e per fruirla. Siamo una specie culturale. Il nostro futuro è produrre cultura, possibilità per tutti di viaggiare, di esplorare, di sperimentare direttamente emozioni non accessibili attraverso la tv o qualsiasi mezzo multimediale, di incontrare fisicamente i propri simili, in contesti meravigliosi e romantici, di godere della musica e delle altre arti dal vivo, di produrre musica ed arte live… Tutto questo, ed altro ancora, che noi terrestri terricoli non riusciamo ancora neppure ad immaginare, otto miliardi di persone possono svilupparlo solo espandendosi nello spazio esterno, dove ci sono risorse per lo sviluppo di trilioni di persone.

Ed eccoci ad una questione fondamentale: a chi serve l’espansione nello spazio? Intanto stiamo parlando di una quantità enorme di LAVORO, qualcosa che sembra scarseggiare, oppure adesso parliamo d’altro, quindi ce ne dimentichiamo? Intanto serve all’AMBIENTE, per coloro che si preoccupano prioritariamente di questo aspetto: spostare il nostro sviluppo civile (cioè industriale) fuori dal pianeta allevierà il nostro pianeta dall’ingombro ambientale che il nostro sviluppo rappresenta. L’espansione nello spazio serve alla civiltà. E di quale espansione la civiltà ha un disperato bisogno? L’espansione nello spazio serve alla gente, è la gente, sono i civili terrestri che devono poter viaggiare, lavorare ed insediarsi nel mondo più grande, su città orbitali, asteroidi urbanizzati, stabilimenti industriali lunari, ed oltre. Perché? Guardate una qualsiasi discussione a questo proposito sui social: troverete i pareri più diversi e contrapposti. C’è chi sostiene che siamo “progettati” per vivere sulla Terra, e non sopravviveremmo altrove. C’è chi è convinto che sopravviveremmo benissimo, adattandoci, come ci siamo adattati a vivere in case di ghiaccio nelle regioni polari e nelle capanne di frasche all’equatore. Magari in un futuro non troppo lontano l’homo-sapiens+  auspicato dai transumanisti potrebbe adattarsi  biologicamente anche alla bassa gravità ed alle radiazioni cosmiche…

Il guaio è che ciascuno pretende di affermare il proprio punto di vista e le proprie “soluzioni” a discapito delle soluzioni auspicate da altri. Esistono diversi tipi di esseri umani, e tutti hanno diritto a vedere realizzati i loro bisogni più alti (secondo la scala di Maslov), perché tutti questi tipi corrispondono ad impulsi evolutivi, estremamente utili alla civiltà: la mortificazione anche di uno solo di questi impulsi risulterebbe fatale, in un’epoca in cui tutti i nodi verranno al pettine, portando ad una catastrofica implosione della civiltà, oppure ad uno sviluppo sbilanciato, destinato a fallire sul medio o lungo termine.  Steven Wolfe, nel suo bellissimo romanzo-saggio “The Obligation”, cataloga sei “endowments” (dotazioni) che caratterizzano altrettanti tipi umani. Il “wanderer” (il vagabondo, o esploratore), che non sopporta di restare a lungo nello stesso posto, ed ha bisogno di muoversi, esplorare, cercare nuovi orizzonti e nuovi panorami, nuove situazioni in cui poter sviluppare la civiltà. Il “settler”, ossia il pianificatore urbano, colui che ama sviluppare infrastrutture adatte alla vita ed alle attività civili. L’inventore, che sviluppa nuove tecnologie per nuovi bisogni. Il costruttore, che realizza quanto progettato dall’inventore. Il visionario, capace di immaginare scenari futuri, ed ispirare gli inventori. Il protettore, che pensa alla sicurezza della gente. In una recente conversazione il dr. Paul Ziolo (docente di psico-storia all’università di Liverpool) ha menzionato il modello Gardner, secondo il quale esistono molti altri tipi di intelligenza, oltre il logico-matematico attualmente considerato come fattore primario e dominante. Le intelligenze di Gardner sono ritmico-musicali, visive-spaziali, verbali-linguistiche, logico-matematiche, corpo-cinestetiche, interpersonali, intrapersonali e naturalistiche. Ha anche ipotizzato l’esistenza di un’intelligenza morale ed esistenziale, che sarebbe fondamentale nel contesto del futuro sviluppo culturale: l’intelligenza morale non può che essere umana, ed avrà un ruolo essenziale ed insostituibile nell’era delle intelligenze artificiali.

Non è difficile identificare, nelle nostre società, tutte queste diverse tipologie caratteriali. E si può quindi riflettere su quanto sia grande il patrimonio umano, nella sua attuale consistenza di quasi otto miliardi di persone. Non è difficile neppure constatare come la stragrande maggioranza di questi tipi abbiano bisogno di spazio, di movimento, di libertà, di godere del contatto anche fisico con altre persone, ed anche della solitudine, quando sentono di doversi concentrare da soli, per creare, elaborare, progettare… Il settimo tipo, identificato da Wolfe, è quello dell’evolutore cosciente, colui che sente dentro di sé l’impulso a guidare l’evoluzione, completando la doppia obbligazione che abbiamo, verso la nostra specie/civiltà, garantendole spazio e risorse per continuare lo sviluppo, e verso il nostro pianeta madre, liberandolo, adesso che abbiamo le tecnologie necessarie, dall’ingombro del nostro sviluppo, trasformandolo in un grande giardino e parco naturale.

Ultimo, per oggi, argomento di discussione: si potrebbe colonizzare lo spazio esterno utilizzando esclusivamente robot ed intelligenze artificiali? Sarebbe questo lo sviluppo, il rinascimento spaziale di cui abbiamo bisogno? Le mie risposte sono due decisi NO. La presenza di colonizzatori umani è indispensabile, benchè coadiuvati da sistemi robotizzati ed IA. Se pure si riesce ormai a teleoperare chirurgicamente, comandando sistemi robotici a distanza, si tratta comunque di distanze terrestri, sulle quali non c’è alcun ritardo. Tra la Terra e la Luna si apprezza già un ritardo di 3 secondi nelle telecomunicazioni, più che sufficiente ad impedire qualsiasi controllo in tempo reale di operazioni delicate. Tra la Terra e Marte 20 minuti. E comunque, le situazioni in cui ci si può venire a trovare sono così varie e largamente imprevedibili, che non sono immaginabili campagne di insediamento ed operatività industriale su vasta scala condotte da IA. La risposta alla seconda domanda non può che essere altrettanto negativa. Non possiamo infatti pensare allo spazio solo come un deposito di risorse da portare a terra, per utilizzarle qui, o comunque per contribuire a mercati unicamente terrestri. Ci sarà vero sviluppo solo se i mercati, e le industrie, e la vita civile, si espanderanno ben oltre i confini dell’atmosfera terrestre. Non posso immaginare un mondo che continua a crescere solo sulla superficie terrestre… un’armata crescente di automi in orbita sulla nostra testa sarebbe una condizione di ulteriore aumento della pressione e dello stress, e di limitazione della libertà di movimento e della fantasia creativa! Ora, se mi legge qualche carattere stanziale, che troverebbe piacevole una tale situazione, per favore non cerchi di imporre la sua visione a noi esploratori/colonizzatori: la nostra visione espansionista non toglie nulla a loro, mentre una loro insistenza nel mantenere il mondo chiuso a noi ed a molti altri toglierebbe l’aria necessaria per vivere e per pensare… e questo non farebbe che aumentare l’entropia psicologica generale, quella che chiamo riscaldamento metafisico globale, che abbiamo invece tutto l’interesse a mitigare!

Questo articolo è pubblicato anche su L’Avanti! online (http://www.avantionline.it/ci-servira-una-patente-per-guidare-le-intelligenze-artificiali/)

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L’ASI collaborerà con la NASA per portare un asteroide in orbita terrestre

L’ASI collaborerà con la NASA per portare un asteroide in orbita terrestre

L’Agenzia Spaziale Italiana è disponibile a lavorare a tecnologie robotiche per portare un asteroide nello spazio più vicino alla Terra, per studiarlo meglio: lo si dovrebbe andare a prendere oltre l’orbita lunare. Lo hanno scritto, in un documento, Marco Tantardini ed Enrico Flamini (ASI) per proporre la nostra partecipazione alla fase del Robotic Asteroid Redirect Mission (ARM) della NASA. Gli italiani, già protagonisti di voli spaziali con equipaggio, diventerebbero primi attori di attività nello spazio più profondo, intensificando l’impegno come mai prima d’ora. La proposta dovrebbe portare anche benefici per la scienza sulla terraferma. Il documento è stato pubblicato nella rivista The European Physical Journal Plus (2017).

“Un veicolo spaziale robotico dovrebbe essere in grado di accostarsi a un asteroide, analizzarlo dettagliatamente, catturarlo e ridirigerlo verso un’orbita finale stabile vicina alla Terra, più facile per gli astronauti da raggiungere”. Per gli astronauti o per ulteriori bracci e mani meccaniche direttamente comandati da operatori umani, senza dover scontare il gap delle telecomunicazioni dovuto alla velocità delle onde elettromagnetiche nel vuoto, velocità che non è infinita.

Quanto sia penalizzante questo gap lo si constata tutti i giorni nelle attività marziane dei rover Curiosity e Opportunity, dove immagini e dati di ciò che avviene nella superficie del pianeta rosso ci arrivano con un ritardo fino a venti minuti, in dipendenza della distanza fra la Terra e Marte, che varia al variare delle rispettive posizioni nelle orbite che i due pianeti percorrono attorno al Sole.

Diceva Paolo Bellutta, pioniere della NASA nella teleguida dei rover su Marte, quando Curiosity iniziò le escursioni: “Quello che noi facciamo è analizzare la telemetria che il veicolo ci comunica ossia quello che Curiosity percepisce intorno a sé. Dopodiché determiniamo quali sono gli obiettivi scientifici della giornata, calcoliamo quanta energia abbiamo a disposizione, quanti dati possiamo conservare nella memoria del veicolo e quanti ne possiamo restituire. In base a tutto ciò decidiamo le attività giornaliere. Quindi prepariamo una lista di comandi che vengono mandati in un colpo solo al veicolo, che li riceve nella notte marziana e li esegue solo successivamente, di giorno. Molti sono comandi diretti, ad esempio dove puntare la telecamera, altri sono autonomi: gli diciamo ad esempio di spostarsi autonomamente in un certo posto evitando gli ostacoli. Lui valuta parametri come lo slittamento delle ruote: se è superiore a un certo valore un nostro precedente imput gli ordina di fermarsi in attesa di decidere quale altra strada seguire. Noi non siamo lì e non riusciamo a bloccarlo se si mettesse nei pasticci. Non deve ficcarsi in situazioni irrisolvibili, così gli ordiniamo cose come: – fermati se trovi pendii troppo scoscesi o ostacoli troppo grossi! -”.

Se poi la sonda è ai limiti esterni del Sistema Solare, oltre l’orbita di Plutone, come è ora New Horizons diretta all’appuntamento con l’asteroide 2014MU69, il ritardo nella ricezione dei dati supera le sei ore. New Horizons, la sonda robotica con parti importanti di tecnologia italiana, continua a far lavorare stuoli di ricercatori e a stupire per le novità che ci ha rivelato e che ci rivelerà nell’epilogo della sua missione. Ci ha mostrato il vero volto di Plutone con i suoi panorami pieni di colori a -200°C, rafforzando il dubbio che la vita probabilmente non sia solo quella basata su ossigeno e acqua liquida. Un altro robot al suo epilogo, la sonda Cassini con la nostra Agenzia Spaziale protagonista, ci ha confermato che il cianuro, per noi potentissimo veleno, è forse essenziale per l’ipotetica biologia di Titano a temperature criogeniche (Carbon Chain Anions and the Growth of Complex Organic Molecules in Titan’s Ionosphere). Cassini, si prepara a tuffarsi e a incenerirsi nella densa atmosfera di Saturno il prossimo Settembre dopo vent’anni dal lancio. Si autodistruggerà per fornire importanti informazioni sull’atmosfera di Saturno ma anche per evitare che il plutonio in esaurimento, che è servito per alimentare la sonda, possa in un futuro anche molto remoto rischiare di contaminare quella ipotetica biologia che ci è stata rivelata (Washington Post).

New Horizons incontrerà , il giorno di capodanno 2019, l’asteroide 2104MU69 che, a seguito delle osservazioni telescopiche per mezzo dell’occultamento di un’anonima stellina lo scorso mese di Luglio, sembra essere doppio, comunque composto di almeno due parti del diametro, ciascuna, attorno ai 15 – 20 chilometri (si veda anche questo articolo http://www.avantionline.it/new-horizons-oltre-i-limiti-dellantroposfera/). Potrebbe essere uno dei pezzi incontaminati di quei planetesimi che, cinque miliardi anni fa, si aggregarono per formare i pianeti del nostro Sistema Solare.

Grandi novità quindi anche nello spazio cosmico prossimo al nostro Sole, eppure così lontano e difficile da raggiungere. O meglio: grandi novità nella nostra percezione e nella nostra conoscenza che, di anno in anno, scompiglia ipotesi precedenti e convincimenti che sembravano consolidati. Sono novità che dimostrano quanto sia vitale continuare ad investire per conoscere sempre meglio le origini del nostro pianeta, i suoi equilibri delicati e mutevoli anche per effetto della nostra presenza sempre più numerosa. La terra è il pianeta che fu la culla della nostra intelligenza. Una intelligenza consapevole dei rischi che corre l’uomo se vengono posti limiti alla sua possibilità di crescere, consapevole anche di quanto smisurato e pieno di risorse sia lo spazio esterno. Fortunatamente oggi la tecnologia spaziale si è riscattata dal dominio militare, ha potenziato le finalità scientifiche e interessa sempre di più l’industria e l’economia. Saranno l’industria e l’economia, cioè il mercato, che la lanceranno verso nuovi orizzonti, come sempre è avvenuto nella storia.

Daniele Leoni

Foto: Illustrazione artistica dell’oggetto 2014MU69 nella fascia di Kuiper, il prossimo obiettivo di flyby per la missione New Horizons della NASA. Questa immagine binaria è il risultato delle osservazioni realizzate in Argentina nelluglio 2017 quando MU69 passava davanti a una stella. Gli scienziati teorizzano che MU69 potrebbe essere un corpo con un grande porzione sporgente o due corpi che si trovano vicini tra loro fino a toccarsi.
Credit: NASA / JHUAPL / SWR / Alex Parker

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