Siamo quasi otto miliardi, nessuno ci può fermare!

In questi giorni, nei quali la peggior fantascienza distopica sembra aver invaso la realtà (parlo ovviamente dell’epidemia del coronavirus), molti sono portati a riflettere, in particolare, sul fatto che la straordinaria crescita della nostra civiltà nel mondo chiuso ha raggiunto il limite. Può forse quindi essere gradita una riflessione di carattere più generale, di tipo filosofico pratico. Ovvero, quali futuri ci attendono, a seconda delle scelte che faremo.

La prima considerazione che mi viene spontanea: non è più tempo di discutere se il climate change sia reale o no, e se sia causato principalmente da attività antropiche. Il COVID19 ci ha brutalmente trasportati in un altro contesto, dove ci sono minacce reali e tangibili, che ci richiedono di andare oltre le dotte disquisizioni, e capire invece cosa possiamo e dobbiamo fare. Vorrei aggiungere che questa epidemia non è neppure il solo evento catastrofico che si è manifestato nei primi due mesi del 2020. Vi sono infatti vaste regioni medio-orientali che sperimentano il flagello delle locuste, in proporzioni che hanno pochi precedenti, o forse nessuno. Fin troppo facile, per i sostenitori dell’origine antropica del climate change, attribuire tali eventi catastrofici alla nostra avidità, additando il profitto come il male supremo, generatore di tutte le sciagure.

Ma, si deve sommessamente obiettare, qualsiasi tentativo di sostituire il libero mercato e la democrazia con qualcos’altro – in teoria socialmente più equo – è finora naufragato nella miseria di burocrazie dittatoriali, livellamento al livello più basso, annientamento della qualità e dell’eccellenza. In definitiva, processi anti-evolutivi, che hanno portato ad autoritarismi e soppressioni della libertà. Dobbiamo quindi farcene una ragione: non potremo sbarazzarci del libero mercato, almeno finché non avremo imparato la superiorità del dono disinteressato, come modello sociale. Sono certo che non mancheranno invece, come sempre succede in tempi di crisi, i fautori di modelli sociali autoritari e repressivi, nella folle speranza che una qualsiasi oligarchia possa essere una “equa amministratrice di risorse scarse”. La storia ha sempre dimostrato, salvo rarissimi casi di dittatori illuminati, che più centralizzato è il potere, maggiore è la predazione delle risorse del popolo e la soppressione della libertà.

Non illudiamoci, quindi, l’Armageddon mette a rischio molte delle nostre vite, ma sicuramente mette a rischio la democrazia e la possibilità di continuare la crescita e lo sviluppo della civiltà.

Che fare, dunque, per combattere l’Armageddon? L’obiettivo principale deve essere quello di procurarci risorse abbondanti, puntando a un’economia dell’abbondanza, ad un’ecotrofia, quindi.

La prima bufala da sfatare è che la crisi distrugga davvero delle risorse. Non è così: le borse bruciano migliaia di miliardi in pochi giorni, sull’onda della paura del coronavirus. Ma cosa bruciano, in realtà? Dei bit, nei server delle banche. L’unica perdita vera, che deve farci davvero paura e che dovremo contenere il più possibile, è quella delle persone, del loro know-how, della loro capacità di lavorare. Ce ne accorgiamo in questi giorni, vedendo una categoria, quella dei medici, passare rapidamente e silenziosamente ad una quotidianità di comportamenti eroici, per far fronte al loro numero insufficiente. È questa la vera ricchezza dell’umanità, che non potrà esserci sottratta dalle crisi economiche: le persone.

Detto questo, occorre metterci al lavoro: siamo quasi otto miliardi, niente e nessuno ci potrà fermare.

La seconda fake news è che la crisi sia dovuta ai nostri modelli sociali “sbagliati” ed arretrati. Come abbiamo visto, il metodo della concorrenza è l’unico che permette di raggiungere livelli di eccellenza, che sono quelli che servono, per superare le crisi. La crisi si deve unicamente alla nostra straordinaria crescita in un mondo chiuso. È una crisi di crescita: ci servono più risorse e più energia, altrimenti non potremo mettere a frutto il nostro immenso patrimonio umano. Le risorse e l’energia ormai scarseggiano qui sul fondo del pozzo gravitazionale terrestre. Nel sistema solare invece, a cominciare dalla regione geo-lunare, risorse ed energia sono abbondanti, virtualmente infinite, e possono sostenere lo sviluppo di trilioni di umani, nei prossimi millenni.

Anche se i media italiani non danno molte informazioni in proposito, il settore New Space è in forte crescita negli Stati Uniti ed in altri Paesi. Tale fenomeno si sviluppa in forme diverse, ovviamente. Negli USA ad opera di alcuni imprenditori dotati di forti ideali umanisti, come Jeff Bezos, Elon Musk ed altri. Nel caso della Cina e dell’India si tratta invece di programmi governativi avanzati, che vedono nella colonizzazione lunare un passaggio fondamentale per garantire la crescita della loro economia.

I governi del Paesi che possiedono un programma spaziale dovrebbero immediatamente destinare una buona fetta di denaro pubblico allo sviluppo civile nello spazio. Perché gli stati, e non solo i privati? È semplice: gli stati possono facilmente battere moneta, ripianando  i buchi di bilancio causati dalle borse. I privati non hanno questa possibilità, e quindi le coraggiose industrie new space potrebbero essere messe in pericolo dalle borse e da politiche restrittive, che governi privi di visione dovessero adottare a seguito delle tempeste monetarie. Immediato è il paragone con la spesa militare: quasi due trilioni l’anno, per aumentare ancora il potere dei nostri stati di dare la morte, contro un misero budget di 30 miliardi scarsi per lo spazio.

Ma oggi l’umanità dovrebbe invece unirsi per combattere un nemico molto più pericoloso del terrorismo e degli “stati canaglia”: gli eventi catastrofici prodotti dalla crisi del mondo chiuso. Quindi, destinare almeno il 20% della spesa militare allo sviluppo di tecnologie abilitanti il trasporto e l’alloggiamento di civili non addestrati per lunghe permanenze nello spazio. Veicoli a basso costo e bassa accelerazione, protezione dalle radiazioni cosmiche, gravità artificiale ed ambienti verdi negli habitat spaziali, recupero e riutilizzo dei rottami e detriti orbitali. Se temiamo repentini mutamenti della temperatura planetaria, possiamo riesumare progetti già ideati nella seconda metà del secolo scorso, che permettono di regolare la temperatura in superfice, mettendo in orbita grandi schermi per fare ombra, oppure schermi riflettenti per aumentare l’insolazione. A terra, oltre che cercare di diminuire le emissioni di CO2 e dei gas serra, occorre contrastare l’innalzamento del livello del mare costruendo dighe intorno alle città costiere, ed usare il surplus idrico per “terraformare” i deserti, aumentando la superficie verde, generatrice di ossigeno e consumatrice di CO2, sul suolo terrestre.

Adriano V. Autino

Space Renaissance International (SRI) e Space Renaissance Italia sono orgogliosi co-organizzatori, insieme ad altre organizzazioni di Space Advocacy, di una campagna mondiale, denominata “The Civilian Space Protocol” (CSP).

Una lettera, comprendente il testo del Protocollo Spaziale Civile, sarà inviata a tutti i governi del Pianeta Terra e alle Nazioni Unite, raccomandando una migliore spesa del denaro pubblico, per sostenere lo sviluppo spaziale civile.

Ogni organizzazione pro space del Pianeta Terra è invitata a co-organizzare – inter pares – questa importante iniziativa, che potrebbe rappresentare un evento epocale nella storia, permettendo all’intera comunità spaziale di parlare con una sola voce, sulla necessità molto urgente di dare inizio all’espansione della civiltà nello spazio.

Qui è possibile iscrivere la propria associazione come co-organizzatore del Civilian Space Protocol.

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Posted by ADRIANO AUTINO